Le elezioni del 1968 (tenuta della Dc, crisi dei socialisti unificati, affermazione del Pci) complicarono la linea d’azione seguita da Moro, che si trovò presto in una posizione di marginalità nel partito, tanto che per circa un anno non assunse alcun ruolo. Annunciò quindi (gennaio 1969) una posizione critica all’interno della Dc orientata verso il rinnovamento del partito.
Moro fu ministro degli Esteri dall’agosto 1969 al luglio 1972 (presidenti del Consiglio: Mariano Rumor, Emilio Colombo, Giulio Andreotti), alla ricerca di una politica estera in sintonia con le nuove esigenze di libertà che influenzavano lo spirito del tempo, sia a livello interno sia internazionale. Nella sua visione del mondo bipolare, la stabilità delle alleanze poteva costituire un elemento di pace e di progresso se bilanciata dallo sviluppo delle relazioni bilaterali, attività nella quale anche una media potenza come l’Italia poteva giocare un ruolo significativo. In questo senso sono da considerare parti integranti della politica estera di Moro la valorizzazione dell’Onu, il perseguimento di un rafforzamento dell’Europa come quarto polo della politica mondiale, il sostegno alla Ostpolitik del cancelliere tedesco Willy Brandt verso il blocco orientale, l’attenzione ai paesi emergenti dell’Africa e dell’Asia (riconoscimento della Repubblica Popolare Cinese), l’attenzione specifica a rilevanti questioni regionali quali il Mediterraneo (in particolare al conflitto arabo-israeliano) e la Iugoslavia (per le questioni di confine ancora aperte), la robusta crescita dell’attività diplomatica ad ampio raggio dell’Italia.