Presidenza del Consiglio (1974-76)

La prima cosa, la più importante che noi dobbiamo garantire, che noi dobbiamo assicurare senza alcun rischio di perderla mai, è la pace politica del Paese: è l’esistenza di condizioni di normalità nelle quali possano svolgersi fecondi dibattiti delle idee, possano manifestarsi, senza essere generatori di odio, i contrasti delle posizioni politiche; è una società nella quale la battaglia politica non modifichi l’esistenza di una comune coscienza nazionale, non precluda il senso confortante dell’appartenenza ad un solo Paese, l’orgoglio di essere italiani, tutti italiani

In una situazione segnata dalla sconfitta della Dc nel referendum sul divorzio, dal rincrudirsi della strategia della tensione (stragi di Brescia e del treno Italicus, primavera-estate 1974), da un’elevata inflazione, Moro assunse per la quarta volta la presidenza del Consiglio, a capo di un governo «bicolore» Dc-Pri (Ugo La Malfa vicepresidente del Consiglio), sostenuto da Psi e Psdi, quanto di più vicino al centrosinistra si potesse allora realizzare (novembre 1974 - gennaio 1976). Sul terreno sindacale la partita si giocò su una proposta di scambio tra moderazione sindacale e politica fiscale, scambio in parte inficiato dalla ripresa dell’inflazione e dalla crisi congiunturale. Sul piano politico invece si intessé un dialogo che vedeva l’opposizione comunista stretta interlocutrice del governo in ordine alla politica economica e alle riforme. Quest’ultima condizione provocò qualche allarme nell’amministrazione Ford e se ne ebbero delle ricadute nei rapporti tra Moro e il segretario di Stato statunitense Henry Kissinger.

Le elezioni amministrative (giugno 1975) segnarono una forte affermazione del Pci, che con il 33,4% sfiorava una Dc in sensibile calo (35,3%). Alla fine del 1975 il Psi ritirava la fiducia al governo. Moro guidava allora il suo quinto esecutivo, un monocolore della Dc (febbraio-giugno 1976), sulla prospettiva della seconda interruzione anticipata della legislatura.